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Posto il mio ultimo articolo pubblicato su "Il Salto". Un'intervista sulla situazione politica e sociale dell'Ecuador, all'economista Alberto Acosta.

Link: https://www.youtube.com/watch?v=XeCsPSz2AeI

“La speranza di una nuova sinistra in Ecuador? Nelle lotte ambientaliste”. Il dopo-Correa secondo Alberto Acosta
Il 4 febbraio 2018 si celebrerà in Ecuador un’importante Consultazione popolare (Consulta popular) che sta provocando forti conflitti nella compagine governativa tra “correisti”, vicinoi all’ex presidente Rafael Correa, e “morenisti”, sostenitori dell’attuale presidente Lenin Moreno. Questo Referendum si centra su sette quesiti politici e sociali: l’interdizione dalla vita politica dei condannati per atti di corruzione, l’abolizione della rielezione indefinita per diventare Presidente della Repubblica, la riorganizzazione del “Consejo de participacion ciudadana” (importante organo politico che riunisce i rappresentanti dello Stato con quelli della società civile), l’abolizione della prescrizione dei reati sessuali contro i bambini, l’aumento della zona di protezione per la riserva naturale dello Yasuní, la proibizione assoluta di un tipo di estrazione mineraria, l’abolizione della Ley de Plusvalia (che, in sostanza, tassa la speculazione sui terreni di proprietà).

Lo stesso Rafael Correa, che aveva lasciato il Paese subito dopo la fine del suo mandato, è tornato in Ecuador per sostenere una battaglia politica contro i quesiti relativi alla rielezione indefinita e alla riorganizzazione del Consejo ciudadano. Una vittoria del Sì rende impossibile una sua nuova candidatura alla fine del mandato di Moreno, e permette a quest’ultimo di sostituire i responsabili del Consejo eletti sotto Correa. Di questa Consultazione e, più in generale, della situazione politica e sociale dell’Ecuador parliamo, ancora una volta, con una delle figure più autorevoli dell’opposizione di sinistra in Ecuador, l’economista Alberto Acosta.

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Acosta, cosa pensa della Consultazione di febbraio? Il ritorno di Correa rappresenta un chiaro tentativo di opporvisi, o sbaglio?

Credo che Correa, quando era presidente, commise molti errori. Siccome aveva il potere dello Stato, controllava molti mezzi di comunicazione in modo diretto, e, a causa della paura, manteneva in silenzio anche i mezzi di comunicazione privati. Li teneva abbastanza sotto controllo. Anche a me fa pensare molto che Correa, che ho conosciuto molto e con il quale ho avuto una grande amicizia, non abbia avuto la capacità di accettare le nuove circostanze, una volta lasciata la presidenza. Commette un errore dietro l’altro. Ma perché sta tornando?

Questa è la mia domanda…

Non saprei dire esattamente perché lo sta facendo. Ormai non ha più la forza di prima. I riscontri positivi della popolazione al suo ritorno sono molto scarsi. Molte poche persone e molto poco entusiasmo. La società non è interessata al suo ritorno. Forse il mondo politico lo è, ma alla società già non interessa Correa, che è il passato. È in questo scenario che bisogna capire perché ritorna. Una possibile interpretazione è che cerca di recuperare il suo partito politico, per usarlo nella Consultazione popolare. In questo modo contrastare il suo alleato, ossia colui che è stato il suo candidato e che non gli ha obbedito, come lui credeva avrebbe fatto. Moreno non è stata una marionetta come voleva Correa. Te lo dico in termini che ti risultino familiari: è come se Pinocchio si liberasse da Geppetto. La situazione è interessante proprio perché Moreno non è il burattino di Correa. Questo è positivo, ed ha creato problemi a Correa. Adesso ha bisogno del partito, perché se non lo controlla, non può fare campagna elettorale sulla Consultazione popolare. Non ha alcuna struttura politica, e, perciò, non può neanche iscriversi al Tribunale elettorale per ricevere il denaro necessario per fare la campagna per il No. Perché ne ha bisogno. Quindi avrà molti problemi. Ecco, in sostanza, mi sembra sia una decisione disperata.

Quindi è una questione di sopravvivenza politica.

Chiaro. Inoltre, sta tornando in un altro momento chiave: stanno processando il suo ex vicepresidente (Jorge Glas, che è stato condannato a 6 anni di prigione in merito al processo internazionale Odebrecht, poco dopo questa intervista, ndr), che è pieno di denunce per corruzione. In terzo luogo Correa ha sviluppato durante gli anni una relazione perversa con il potere. Malata! Si sente completamente frustrato a stare nel suo attico a Bruxelles (dove andó una volta lasciata la presidenza, ndr). Chiuso nel suo appartamento non sapeva come elaborare la solitudine del potere. Quindi, ecco le possibili ragioni del suo ritorno: cercare di controllare il partito per cercare di agire contro la Consultazione, cercare di influire in qualche modo per proteggersi e proteggere i suoi collaboratori dalle accuse di corruzione, recuperando forse le relazioni con diversi giudici e funzionari dello Stato che lui ha nominato direttamente, e questo mi sembra un dato fondamentale, e, infine, avere una valvola di sfogo per la sua personalità tormentata.

Un membro del collettivo ecologisa “Yasunidos”, intervistato dal Salto, ha espresso l’opinione che i quesiti della Consultazione sono solo una facciata, perché le domande non servono per superare realmente i problemi che pretendono risolvere. Che ne pensa?

Procediamo per parti, direbbe Jack lo squartatore (ridiamo, ndr). In primo luogo sono d’accordo con la Consultazione. Per definizione, una Consultazione popolare è (quasi) sempre un’opportunità che ha il popolo per pronunciarsi. È un’opportunità per discutere questioni di fondo, per mobilitarsi. E questo è positivo. In generale, mi domando perché non si sono eliminati anche altri emendamenti costituzionali, che sono terribili. Come il fatto di vedere nelle forze armate un attore di repressione sociale, o come uno strumento di ordine pubblico. O anche di diminuire le funzioni della “Contraloria general del Estado” (massimo organismo di controllo fiscale, ndr) e la capacità di organizzazione sindacale per i funzionari pubblici. Insomma ci sono ancora molte questioni di fondo da risolvere. Detto questo, bisogna collocare le domande formulate nel contesto di un governo che nasce dal regime di Correa, cioè che ha una terribile eredità della quale si vuole liberare. Non è un governo che sorge grazie alla grande capacità trasformatrice e innovatrice propria di qualche movimento. Non sta iniziando da zero. No. Ha questa eredità, molto pensante e complessa. Quindi bisogna differenziare le domande. Perciò, anche se, in generale, sono favorevole, ho diversi dubbi rispetto ai quesiti proposti. Su quello che si riferisce alla lotta contro i delitti sessuali contro bambini e bambine sono completamente d’accordo. Ma che significa in concreto? Non ne ho idea. Votare No a questa domanda, però, sarebbe come votare a favore degli stupratori. Durante il governo di Correa, tuttavia, questo tema veniva nascosto. E stiamo parlando di qualcosa di terribile, totalmente condannabile, comparabile solo con il modo in cui la Chiesa cattolica ha nascosto i delitti di pedofilia qualche tempo fa. Un’altra domanda che mi sembra interessante, sulla quale, anche in questo caso, si dovrebbe chiarire come si tradurrebbe in legge nel caso di vittoria del Sì, è quella che si riferisce alla “morte civile” dovuta ai crimini di corruzione. Sono completamente d’accordo, ma ho dei dubbi circa la sua traduzione giuridica. Sono anche totalmente d’accordo con l’eliminazione della rielezione indefinita. Una quarta domanda con cui sono d’accordo, di principio, è quella che chiede di cambiare la composizione del Consiglio di partecipazione civica e controllo sociale. Mi preoccupa, però, il fatto che sarebbe lo stesso Moreno l’incaricato di nominare il nuovo consiglio di transizione. E questo significherebbe tornare indietro. Non bisogna dimenticarci che Correa ha controllato tutte le funzioni dello Stato. Sulle altre domande, più complesse, coincido con gli “Yasunidos”. Sono domande che non cambiano nulla, ma sulle quali difficilmente si può votare no. Sulle miniere, dove si proibisce esplicitamente di sfruttare i giacimenti che sono nelle campagne, nei parchi naturali nazionali, la risposta già si trova nella Costituzione. Già è legge! Certo, se tu voti No indebolisci questa posizione. Quindi non puoi votare No. Però è completamente insufficiente, perché, secondo me, si sarebbe dovuto proibire il mega sfruttamento minerario, o, per lo meno, rendere effettivo il mandato costituente che si è affermato il 18 Aprile del 2008, quando si proibí l’estrazione mineraria in presenza di qualsiasi fonte d’acqua: paramo, fiume, laguna, lago, manglar, humedal. Non ci possono essere miniere in queste zone, ed è il minimo che si sarebbe dovuto pretendere. Questa è una delle richieste costituzionali che Correa non ha rispettato. E poi c’è l’altra domanda, relativa allo Yasunì. Neanche a questa si può votare no. Perché si sta ampliando la frontiera dell’isolamento volontario delle popolazioni indigene.

In parte è un riconoscimento…

Sì, chiaro. Anche se non ti dice come si amplierà. Ma è il riconoscimento di un punto fondamentale: il territorio è uno spazio di vita, uno spazio d’identità, spazio di realtà e d’esistenza. E questo è positivo. Però, chiaro, quando afferma il limite di uno sfruttamento massimo di 300 ettari, non tiene conto che, di fatto, già si stanno sfruttando più di 300 ettari. Ma se tu voti no, sei contrario al fatto che si ampli la frontiera dei popoli in isolamento volontario, che sembra il minimo che possiamo pretendere. Insomma, ecco perché ritengo che la Consultazione è, complessivamente, insufficiente.

Le vorrei fare altre domande di carattere generale. Lei non pensa che in Ecuador ci sia stata una sorta di chiusura culturale in risposta all’apertura globale dei mercati, come è successo in altri Paesi? Una specie di reazione di difesa del mondo delle comunità, che si sono chiuse in un senso etnico? Esiste per caso un nazionalismo indiretto, di ritorno, che non si esprime tanto a livello politico quanto a livello culturale? Una specie di prospettiva conservatrice espressa dal mondo comunitario?

Non mi sembra che stiamo vivendo un processo di ripensamento, o di recupero, della dimensione comunitaria. Neanche da una prospettiva conservatrice. Non mi sembra così, in questo momento. Da molti anni siamo attraversati da un regime capitalista, individualista, consumista e produttivista. E questo si acutizza con il governo di Correa. Che, invece di rendere effettiva la realtà del Buen Vivir o Sumak Kawsay, così da cristallizzare i diritti collettivi, rafforza la modernizzazione capitalista. Soprattutto stimolando l’aspetto consumista. Quando si generò molto denaro in Ecuador, Correa è riuscito a distribuirne gran parte ad ampi settori della società, anche se non in modo equo. Grazie ad alti livelli di consumo, o di consumismo, ha aumentato il consenso popolare. Nella misura in cui si indebolì questo consumismo si indebolì anche l’appoggio a Correa. Non è la sola spiegazione, ma è pur sempre una spiegazione importante su cui bisognerebbe riflettere. Secondo me, a lungo termine, si continua a debilitare la realtà comunitaria. Gli stessi indigeni stanno cedendo sempre più a diversi tipi di pressioni. Mi sarebbe piaciuto che loro assumessero, come propri, i progressi presenti nella Costituzione. Diritti collettivi, Buen Vivir o Sumak Kawsay. Ma, anche loro, sono più concentrati sulla vita politica di brevissimo termine. Anche se sventolano la bandiera dello Stato plurinazionale, temo che, in realtà, dietro non ci sia molto contenuto.

Cosa resta del grande movimento che ha dato vita all’Assemblea Costituente e alla nuova Costituzione? Cosa resta di quelle richieste sociali? La mia impressione, forse troppo pessimistica, è che non resti molto.

Beh, il momento è complesso. Non si parla quotidianamente del Buen Vivir quì in Ecuador. Anzi, al contrario! Per molti settori può essere addirittura motivo di scherno. Siccome Correa ha vampirizzato il concetto, svuotandolo di contenuto, trasformandolo in un dispositivo di potere, in uno strumento di propaganda politica, e lo ha anche ridicolizzato quando ha creato un ministero del Buen Vivir e un ministro che non aveva nessuna idea su cosa fare, ha creato le condizioni affinché il Buen Vivir, il Sumak Kawsay, questa trasformazione profonda, venisse svalorizzato, ridicolizzato e marginalizzato. Constato una cosa, tra l’altro: negli ultimi anni ho realizzato molti viaggi all’estero, e le idee del Buen Vivir e dei diritti della natura hanno una maggiore eco fuori che in Ecuador. Negli ultimi 4 anni ho viaggiato in Germania (dove ha ricevuto, recentemente, il premio Hans Carl von Carlowitz per via delle sue posizioni sui diritti della natura, ndr) e in Austria, in particolare, discutendo intensamente delle questioni del Buen Vivir e dei diritti della natura. Questo interesse non esiste quà.

Anche per questo, possiamo dire che, a livello culturale, i governi di Alianza Pais (Correa e Moreno) hanno avuto un impatto negativo?

Sì, chiaro. Dalla lotta indigena e popolare apparve, emerse con forza, un “pacchetto d’alternative di società”: Buen Vivir, Sumak Kawsay, Pachamama, diritti della natura, diritti collettivi, e il fatto che l’acqua non si potesse privatizzare. Ma non c’era spazio per tutto questo. Per una semplice ragione: incorporare questi elementi nella vita quotidiana, politica, sociale, economica, e, in ultima istanza, anche culturale, signifcava colpire i privilegi. Non lo hanno permesso le classi dominanti. Non è una casualità. È parte di un processo, di un conflitto storico.

In questo processo è possibile immaginare che ci sarà una relaborazione dei movimenti sociali a partire da una nuova rivendicazione della Costituzione, che non si sta applicando?

Sarebbe già dovuto essere così. Ma in questo momento non mi sembra. Anzi, vedo che certi gruppi di sinistra avanzano addirittura la tesi di una nuova Assemblea Costituente….

Che potrebbe essere pericolosa.

Chiaro! Perché non ci sono le condizioni per approfondire le istanze dell’attuale Costituzione. Non dico che la Costituzione è scritta sulla pietra, o che è una moneta d’oro che non si può perdere, no. Si può migliorare e approfondire la Costituzione. Ma, anche chi, da sinistra, si considera socialista, spesso assume posizioni conservatrici, perché, per esempio, si oppongono allo Stato plurinazionale. O ai diritti della natura, ai diritti collettivi. O a una Costituzione trasformatrice. Si avvicinano al costituzionalismo conservatore: vogliono Costituzioni brevi, dove appena si abbozzano certi diritti, e che non costituiscono veri strumenti di trasformazione strutturale.

Questo sembra evidenziare che esiste una lotta egemonica anche dentro la sinistra…

Assolutamente, certo. Dentro le sinistre. Anche se dovremmo iniziare a discutere su cosa significa essere di sinistra. Che cosa significa? Ti faccio un esempio un pò volgare: qualcuno è di sinistra se è contrario allo sfruttamento dei lavoratori e sventola la bandiera della lotta di classe, però, allo stesso tempo, difende i privilegi patriarcali? Per me no, non è di sinistra. Può essere di sinistra chi sta lottando per superare il capitalismo come strumento di dominio del lavoro e degli esseri umani, continuando, però, a distruggere la natura? No, non è di sinistra. E non sarà mai di sinistra se non sarà allo stesso tempo “decoloniale”. Accumulazione, sfruttamento, marginalizzazione, alienazione, reificazione… questo è il capitalismo! Tutti questi aspetti sono importanti allo stesso tempo. Tuttavia, se dovessi teorizzare in merito, direi che sono due gli assi principali da dove sorge il capitalismo: il patriarcato e il colonialismo. Che ne sono l’essenza fondamentale, il cemento. Poi c’è lo sfruttamento della mano d’opera e quello della natura. Il capitalismo significa soffocare la vita, dei lavoratori, delle lavoratrici e della natura.

Esattamente da questa prospettiva, non possiamo dire che esiste un’ipoteca negativa di quanto resta dei governi di Correa? Mi riferisco in particolare all’indebitamento del Paese, con la Cina e con le grandi istituzioni transnazionali.

Questa è una delle grandi frustrazioni. Il governo Correa, immediatamente, già nel 2007, realizza una richiesta che veniva dalla società civile: rivede il debito estero. Una richiesta che stavamo facendo sin dagli anni ’80. Perché una delle caratteristiche della gestione del debito estero era la mancanza di trasparenza, e il fatto che, in questa relazione d’indebitamento, c’erano situazioni di illegalità e di illegittimità. Correa la racccoglie e propone una revisione dei 30 anni precedenti, dal 1976 al 2006. Il punto di partenza era: revisione, trasparenza, partecipazione civica. Correa apre la porta alla speranza non solo in Ecuador ma nel mondo, proprio grazie alla revisione del debito. Che cosa resta di questo, successivamente? Né la revisione, né la trasparenza, né la partecipazione civica. Non soddisfa le raccomandazioni che erano state fatte dalla società civile, ossia di portare a processo i creditori nei loro Paesi di provenienza. Perché loro calpestarono la legge dei loro Paesi di provenienza. Questo sarebbe stato fantastico. Ma lui decide d’impugnare solo una piccola parte del debito. I bonus globales a 10-30 anni, o quelli a 15 anni (quelli corrotti che erano legati ai primi). Non il resto del debito commerciale. Non attacca il debito bilaterale dei paesi. Neanche quello multilaterale con gli organismi internazionali. Ossia, solo in piccola parte. E poi anche lui si comincia a indebitare velocemente dal 2014, molto più velocemente dei momenti precedenti, e nonostante il prezzo del petrolio fosse altissimo. Ritorna a relazionarsi con il fondo monetario internazionale, senza trasparenza né partecipazione civica. E senza possibilità di una reale revisione del debito. Correa ci ha liberato temporaneamente dagli artigli del FMI, della BM, del Consenso di Whashington. Poi però siamo passati al “Consenso di Pechino”. Ormai non dobbiamo più rispondere alle domande di austerità fiscale, o alle privatizzazioni e ad altre misure fiscali, ma stiamo vendendo i nostri minerali, il petrolio, le costruzioni, le opere pubbliche, indebitandoci sempre più con la Cina. Passiamo dalla dipendenza che avevamo con il capitalismo tradizionale nordamericano, e in parte anche europeo, alla dipendenza con l’imperialismo cinese. Cioè due espressioni dell’imperialismo, non c’è alcuna differenza. Questa è una grande eredità negativa di Correa nel settore economico. La cosa peggiore è che, con lui, si ritorna al neoliberismo: con una serie di politiche come la flessibilizzazione lavorativa, le privatizzazioni e lo stimolo ad una gestione economica volta alla restrizione della capacità d’organizzazione dei lavoratori. Comincia ad approfondire lo sfruttamento della mano d’opera, e non ci sono aumenti salariali rilevanti. Si approfondisce l’“estrattivismo”, che era uno degli elementi che stimolavano i neoliberisti. Siamo ancora una volta al punto di partenza. Per questo viviamo in una situazione perversa.

Mi sembra si possa dire che il futuro del Paese è stato “ipotecato”, giusto?

Sì, c’è un’ipoteca in termini economici, politici e culturali. Perché ancora molte persone credono che il governo di Correa fosse un governo di sinistra, un governo progressista. Quindi il logorío e il discredito del suo governo, passa, come eredità, alle sinistre. Ecco perché le sinistre devono ricominciare non da zero, ma da sotto zero. Tuttavia, in realtà, solo apparentemente, perchè esistono lotte interessanti, come la resistenza allo sfruttamento minerario. O la pur limitata resistenza all’attività petrolifera. Ed esistono altri gruppi sociali che stanno dimostrando che non hanno bisogno dell’appoggio istituzionale della vecchia politica, che possono incontrare un’altra rotta. È qui che incontro gli elementi che mi riempiono di speranza e di ottimismo, che non ho perso.

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