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Il mio carissimo amico Raffaele Lupoli, un giornalista di primo ordine, mi ha invitato a un incontro su zoom, uno dei tantissimi che ormai proliferano durante la quarantena per ritrovare il senso della relazione e della condivisione. Anche se dietro uno schermo del computer o del telefono, eravamo là per un primo confronto tra persone “della stessa famiglia”. Con lui c’erano, infatti, diversi amici e amiche con cui condividiamo una prospettiva chiaramente ecologista e democratica, radicale.
La sua preoccupazione, più che giustificata, è che viviamo in una situazione di “compressione dei diritti” e della difficoltà di fare arrivare il messaggio ai più sui motivi profondi della diffusione della pandemia e sulla necessità di capire le ragioni ecologiche che ci dovrebbero spingere tutti verso un cambiamento profondo nella produzione e nel consumo.
Molte sono state le domande e le preoccupazioni, anche perché ognuno di noi, a suo modo, ha vissuto o vive un forte impegno etico e politico nel lavoro e nella vita.
C’è chi ha sottolineato l’importanza di recuperare la dimensione comunitaria e di emanciparsi dalla dimensione urbana, chi la ricerca di valori condivisi e di un rinnovato telos comune (non solo tra chi è già d’accordo sulla necessità di un cambiamento radicale e di una discussione reale con le persone che non appartengono alla nostra “cerchia”, che non vivono o mai hanno vissuto “la militanza”). Fare “massa critica” e allargare l’ascolto verso chi normalmente non si esprime. Chi ha messo l’accento sul diritto alla vita e sulla necessità di avviare una campagna per rafforzare la sanità pubblica. Lo stesso Raffaele ha ricordato che l’attuale spesa in deficit del governo, il debito che pagheranno le future generazioni per salvarci oggi, non rafforza il sistema sanitario pubblico in un modo che impedisca, in futuro, di ricadere nella stessa situazione di oggi davanti ad un probabile stato di emergenza provocato da un serio problema ecologico o da un’altra pandemia.
All’incontro, senza che molti se ne siano accorti, c’è stato un ospite, presente ma invisibile, a dispetto dei presenti. Come canta De Gregori in una bella canzone nata all’epoca della caduta del muro di Berlino, “è venuto lo stesso baby, ma non era invitato. E’ venuto qualcuno che ci guarda e sta zitto, ma c’è qualcosa che cambia sotto questo soffitto”. Durante l’incontro, infatti, girava tra i nostri schermi un fantasma a cui tutti si sono riferiti, più o meno esplicitamente: il vero tema dell’incontro, infatti, è sicuramente stato il cambiamento di società, necessario o possibile.
La cosa sorprendente che mi ha lasciato diversi interrogativi alla fine della bella chiamata collettiva, è che mi sono ritrovato praticamente il solo a sottolineare la presenza di questo scomodo invitato (il tema del cambiamento di società) e l’importanza di metterlo davvero a tema. Prendere il toro per le corna e condividerlo oltre la nostra stretta cerchia, che ormai lo dà per scontato. Ma come fare? (la domanda di sempre)
Ecco, quello che vorrei fare qui è di rendere ancora più chiara (nei limiti del possibile) la proposta che ho condiviso con loro e che cercherò di riproporre altrove.
IL CONTESTO. Se guardiamo la situazione attuale, come in tutti i momenti di novità sociale-storica, ci troviamo davanti ad una tendenza generale, quella che possiamo dire muovere gran parte dell’immaginario e delle istituzioni collettive (l’opinione pubblica, le norme sociali scritte e non scritte, etc etc), e lo spazio dell’inedito, della nuova possibilità che si sta aprendo davanti a noi. Quanto non cambia e quanto cambia nel nostro presente, allo stesso tempo.
Del primo aspetto fanno certamente parte le tendenze provocate dai problemi sanitari (tipo l’insufficienza del sistema sanitario ad affrontare la pandemia), economici (l’aumento dell’impoverimento e della diseguaglianza, per esempio), politici (come l’eliminazione dei diritti democratici del “controllo dal basso”), sociali (la restrizione della libertà di movimento, per sottolineare ciò che più pesa), etc etc. In sostanza, se guardiamo la tendenza da lontano, il rafforzamento della condizione post-democratica di cui ho già scritto ampiamente su questo blog segna la prima parte del nostro contesto sociale e storico.
D’altra parte, questa situazione ha fatto sì che molti riscoprano o possano affermare con maggiore decisione forme di mutualismo, di valorizzazione della dimensione comunitaria, della solidarietà, dell’importanza dell’aiuto reciproco e della cosa pubblica.
Ciò che a me sembra decisivo, se consideriamo entrambe le prospettive (sia quella che sottolinea il rafforzamento di una (nefasta) tendenza precedente, sia quella che punta a valorizzare la novità e l’opportunità di saper cogliere quanto sta nascendo di positivo - il caso parossistico è sicuramente rappresentato dalla “clamorosa” affermazione di Zizek, che, scorgendo la possibilità di una nuova socialità refrattaria ai vecchi imperativi mortiferi capitalisti, allunga il passo e vede il germe di un nuovo comunismo, preda di una già nota allucinazione cinematografica - ), è che ci troviamo in una situazione dove necessità e possibilità si sovrappongono.
NECESSITA’. Da una parte, infatti, da una posizione critica nei confronti della tendenza post-democratica ormai arrivata a uno stadio quasi terminale, di fuori uscita dallo Stato liberaldemocratico ereditato (come evidenziato in Italia ai giuristi che si rifanno all’eredità di Rodotà, che, già nel 2005, scriveva lucidamente circa il problema di limitare la democrazia sulla base di una prospettiva emergenziale: https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2005/07/11/... ), sembra necessario riattivare quello che più abbiamo perso nel corso dei decenni, ossia la capacità di controllo democratico della cittadinanza nei confronti del governo e il fatto che chi governa si riferisca a una visione della sfera pubblica condivisa dalla popolazione, oltre che fermare il dilagare di una cultura privatistica in campo sociale, politico ed economico. La quarantena rafforza la distanza sociale e la diffidenza che abbiamo ereditato dal periodo neoliberista che precede e ancora domina, nonostante tutto. La scomparsa della politica, intesa pratica che ha bisogno dell'orizzonte di un’altra società, e la sua riduzione a semplice governo dell’esistente, nel migliore dei casi accompagna questa tendenza (la stessa che segna i governi che stanno affrontando i problemi della pandemia).
Come fare a riattivare la democrazia ormai più che ristretta, senza pensare agli strumenti più efficaci per valorizzarla?
Come fare per ritrovare la dimensione pubblica e il controllo democratico senza rafforzare l’autonomia di giudizio, di critica e di proposta, della maggioranza della popolazione, resa ancora più “impotente” in questo momento?
Come fare a ricreare una sfera pubblica politica dal basso, senza mettere in piedi degli spazi aperti, per l’incontro libero, eguale e solidale dove fare emergere una nuova forza democratica (come ci stanno insegnando in Cile) e affrontare i molteplici problemi collettivi che restano senza risposta?
Come fermare la deriva autoritaria senza organizzare dei presidi democratici al di fuori del sistema dei partiti politici (ormai più che discreditati)?
E quale strumento migliore abbiamo, a meno di non essere accecati dalle sirene della democrazia online (che conservano comunque una loro valenza), se non quello di incontrarci in assemblee territoriali per farlo?
POSSIBILITA’. D’altra parte, l’Inedito può insinuare un sano dubbio anche in chi non è mai stato un attivista: perché dovremmo tornare a vivere come prima della pandemia? E, nella risposta a questa domanda, arrivare a porsi anche un'altra domanda, decisiva: che senso ha riprendere a vivere come vivevamo prima? Siamo sicuri che la società in cui viviamo è quella migliore? Non sarebbe il caso di lottare per una società più giusta? Certo, molti continueranno a pensare a se stessi, a come “salvarsi” individualmente. Che la dimensione collettiva è negativa ed è bene fregarsene. Ma qualcuno che cerchi di dare senso a quello che sembra apparentemente senza senso, “la novità” della condizione di pandemia generale e l’ingiustizia che si porta dietro (il personale sanitario infettato, l’impossibilità di prevenzione attraverso una campagna massiccia di tamponi, il fatto che non vengano rilevate pubblicamente le strutture sanitarie private per rispondere al pericolo, etc), c’è di sicuro, e va ascoltato e incontrato. La possibilità più importante che si apre in modo inedito, perciò, è che questa esperienza comune è una condizione collettiva che ci unisce come non avveniva da tempo. E non solo come italiani o europei. Ecco perché alcuni ingenui sciagurati la paragonano alla guerra (che è una situazione a cui nessuno scappa, quando si dà).
Quale migliore maniera di incontrarci per condividere questa esperienza, dopo essere stati "reclusi" e aver pensato e sentito che il problema veniva portato dal nostro prossimo, di cui bisognava temere le mosse e i passi, se non quello di riaprire degli spazi pubblici “liberati” dalla paura e dalla diffidenza?
Come possiamo rielaborare insieme, e in modo democratico, questa esperienza comune, senza incontrarci fisicamente e rimparare l’importanza del confronto con il nostro prossimo (oltre la famiglia e il condominio), e considerare la nostra interdipendenza come decisiva?
In che modo possiamo prefigurare una nuova società, se questa visione non è il frutto di una condivisione collettiva che emerge valorizzando una nuova socialità politica e democratica?
Perché non immaginare sin da ora a come organizzare una rete di ASSEMBLEE TERRITORIALI POSTPANDEMIA dove sviluppare di nuovo l’incontro pubblico, la prospettiva del controllo dal basso, l’orizzonte di una democrazia partecipata, diretta, sociale, che superi l’attuale asfissia politica?

INSOMMA, in questa situazione storica ci troviamo a vivere una strana sovrapposizione tra necessità e possibilità democratica radicale. Le ASSEMBLEE TERRITORIALI sono sicuramente un impegno e una sfida molto complicata in questo momento, esattamente perché richiedono una fiducia in una nuova socialità e in una politica vissuta direttamente, capace di accettare e vivere l’incontro con chi è molto diverso da noi. Cosa a cui siamo disabituati, se non refrattari o proprio contrari. Ma questa, in fondo, è sempre stata la sfida della democrazia assembleare, che è emersa come tendenza in ogni momento di vera trasformazione dal basso nella storia. A noi oggi si apre questa possibilità e questo compito. Ma dobbiamo saperne vedere l’importanza.
Mi permetto solo di osservare ancora che, volendo, oggi abbiamo moltissimi strumenti, molti di più che in passato, per fare in modo che le Assemblee siano dei luoghi PUBBLICI (aperti a tutti e in cui si pensa al bene comune): in questo senso, si potrebbero immaginare come dei veri spazi in cui affrontare in modo distinto le tre dimensioni temporali rientrate nella sfera del possibile con la situazione di pandemia.
PASSATO: incontrarci per elaborare e condividere come abbiamo vissuto l’esperienza del Coronavirus. Obiettivo: valorizzare un’esperienza comune e ritrovare umanità.
PRESENTE: ascoltare e esprimere le nostre necessità, bisogni e problemi creati dalla pandemia e dalle misure prese per affrontarla. Obiettivo: affrontare praticamente i problemi di lavoro, salute, etc Autorganizzarsi in questo senso insieme, fuori e contro le istituzioni ereditate.
FUTURO: immaginare e condividere le nostre riflessioni e desideri nei confronti dell’altra società, quella a cui aspiriamo, e che magari abbiamo intravisto davanti all’ingiustizia causata dalla pandemia. Obiettivo: creare un nuovo senso comune democratico in grado di orientare le nostre scelte politiche in prospettiva.

Beh, molte sarebbero le considerazioni e le ragioni per lanciarsi in questa impresa epocale. E molte sono le realtà territoriali che potrebbero farsi carico di questa proposta, e non solo in Italia. Ma, come ogni idea, se non l’assumiamo e la sviluppiamo nel nostro immaginario collettivo, nella nostra pratica autorganizzazione collettiva, è destinata a rimanere il semplice fantasma che nessuno vede, ma di cui, in fondo, tutti parlano. Compreso Zizek...

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