Mentre salgo sulla strada di casa, vedo bandiere dell'Italia ovunque. Grandi, piccole, così così, con scritte, simboli vari (anche una corona dei Savoia), o "nature". Da una finestra a cui si accalcano tre donne, una madre con le figlie probabilmente, scende anche una bandiera che non assomiglia alle altre, pur avendo gli stessi colori. E' una bandiera di "Forza Italia".
Ma questa non è la particolarità della strada dove vivo. Non quella di essere tutta una buca, che l'accomuna a molte altre strade romane. Neanche quella di essere circondata da case popolari. Ma quella di ospitare uno dei covi neofascisti romani, la palestra "Primo Carnera" (un pugile considerato eroe della Patria sotto il Ventennio). Sarà per questo che l'inno di Mameli viene sparato a tutto volume da una delle finestre degli edifici che si affacciano sulla strada e nessuno dice nulla. Anzi, vedo pure qualcuno che lo canta in solitudine. Non sono più convinto che la musica sia sempre un modo positivo per reagire, come pensavo ieri alle 18. Mi sembra possa anche riprodurre lo straniamento tipico della società dei consumi. Individualismo e abuso. Il tutto condito con una sana retorica nazionalista. Niente male, non c'è che dire. Spero davvero che in altri posti sia andata meglio.
Arrivo sulla strada principale. Solo qualche macchina e quasi nessuno che cammina come me. Ci sono più persone che corrono che persone che passeggiano. Un paio mi superano ad un'andatura imbarazzante. Forse, pur di uscire di casa, hanno deciso di correre, per avere più alibi nei confronti delle forze dell'ordine, che oggi a Roma hanno arrestato e multato moltissime persone. Colpevoli di muoversi senza un giusto motivo o l'autocerticazione. Una presenza minacciosa e inquietante che si aggiunge alla minaccia invisibile del Corona Virus. "Anche passeggiare è vietato" mi viene detto da qualcuno poco prima di uscire. Girano voci che il virus può restare attivo per strada per almeno 9 giorni, e attaccarsi sotto le suole come un chewing gum ostinato e dispettoso. Poi si scopre che è una delle tante bufale che circolano in giro. In ogni caso, bufala o no, molti di noi pensano con sempre maggiore convinzione che non basta più indossare la mascherina, i guanti, tenere le distanze, ma bisogna stare a casa in totale isolamento. Mentre cammino mi rimbomba una domanda nella testa, quasi ossessiva: ancora per quanto dovremo restare a casa? Poi un'altra: per quanto tempo lo faremo prima di "sbroccare"? E poi un'altra, come se fossero nello stesso grappolo mentale: è possibile che non ci siano alternative?
Passo vicino la fermata dell'autobus e ne vedo un paio passare nelle due direzioni opposte, vuoti o con dentro qualche migrante con la mascherina. Alla fermata, in attesa, c'è un ragazzo nero che mi guarda insistentemente negli occhi. Poi scatta una strana solidarietà, come mi capita spesso, e mi saluta, come fossimo vecchi amici. Con i migranti è così da tempo, non è questo che mi sorprende. Riconoscono in me qualcuno di familiare, uno di loro. In effetti lo sono stato, in parte e in modo molto privilegiato, per almeno 8 anni. Migrante economico. E poi a liceo qualcuno mi chiamava "Profugo", per fare il simpatico e giocare con il mio cognome. Perché mi interessavo attivamente di Rom, Curdi, Saharawi, Palestinesi, e altre popolazioni marginalizzate e in sofferenza. Ricambio il saluto al mio nuovo amico di qualche secondo e proseguo come un peripatetico lungo la strada. Mi domando quali siano le misure prese per coloro che vivono ai margini, che non hanno altro spazio che lo spazio pubblico. Mi cresce sempre più forte il dubbio che non usciremo da questa vicenda con un rinnovato senso civico o con una rinnovata consapevolezza dell'importanza dello spazio pubblico, ma con la convinzione che uno si salva solo in privato. O a limite grazie alla famiglia. Che per salvarci dobbiamo accettare le scelte di chi "comanda". Salvarsi da soli è proprio uno dei pilastri dell'ideologia neoliberista, che ha sparso veleno e distruzione rispetto a quanto è comune da ormai oltre 30 anni, e che è ormai da tempo senso comune anche in Italia. Tuttavia, è una strana situazione quella dell'emergenza da Corona Virus: spazza via lo spazio pubblico e politico materiale (i nostri diritti democratici di base, per esempio) ma rafforza la nostra comunicazione e il nostro senso di solidarietà. Una burattinaia con cui sono diventato amico virtuale da qualche giorno lo ha scritto ieri su facebook, in un post: "raggazzi non facciamo scherzi eh?! Continuiamo ad essere solidali e creativi anche dopo che sarà finita l'emergenza, che siamo bellissimi!".
Già, creativi e solidali. Ma quanto è importante spostare tutto questo su un piano collettivo pubblico, ossia politico? Se fosse così, allora questo dannato Virus avrebbe fatto almeno un grande favore a tutti (o quasi). Cioè, noi stessi ci faremmo un grande regalo. Ma come riappropriarci dello spazio d'incontro, se questo è e sarà ancora per lungo tempo zona off limits? Come farlo, se la nostra cultura individualista e la nostra passività politica ci hanno segnato per decenni? Ci avevamo appena provato sentendoci tutti un pò sardine, recuperando in parte quello che altre popolazioni di Europa e del mondo avevano vissuto quasi dieci anni prima, che poi è arrivato il Virus regale che ci ha inscatolati davvero.
Mentre passeggio tra le ultime luci del giorno, mi imbatto in altre espressione dell'unico discorso comune che ancora possiamo usare collettivamente e nello spazio pubblico, la musica. Dai balconi e dalle finestre delle case popolari più brutte che conosca (a parte Corviale), quasi sarcastica si alza una musica per tutti. Che parla a tutti. Chissà se chi l'ha scelta si sia reso conto di quanto le parole della canzone facciano il verso alla nostra condizione comune di confinati.
Tornando a casa mi accorgo di una mascherina buttata a terra. Forse un altro simbolo? Forse anche troppi insieme. La fotografo più e più volte. Indeciso su come guardarla. Sarà il presagio di una salvezza futura oppure la conferma del nostro irresponsabile presente?
Lo scopriremo solo chattando...

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