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Avevo uno "Zio Zen". Zio Emilio si chiamava. In realtà era lo Zio di mia madre. Ma, per me, sempre Zio era. Un uomo pacato e schivo, che parlava poco e fumava tanto. Le dita affilate e giallastre delle sue mani erano la prova di una vita sospesa e lontana dal delirio produttivista o dall'imperativo del successo, ormai moneta sonante della società capitalista dello spettacolo. Una vita fatta di espedienti e di quella calma che un tempo caratterizzava il populino romano. Una tranquilla povertà. Era il tipico rappresentante di un'Italia che non esiste più. Che prima di parlare si fermava a pensare se ne valesse la pena. Ma che, quando lo faceva, potevi venir travolto dalla sua inaspettata, sottile e tagliente ironia. Non era sarcasmo né il volgare e bieco cinismo che ormai a Roma sembra essere il linguaggio universale. Forse aveva sviluppato quest'ironia vivendo la guerra e poi l'Italia in macerie, e la ricostruzione del dopo guerra. Il dramma vero consente di prendere distanza in modo intelligente dalle difficoltà e da se stessi. Chi non l'ha mai veramente vissuto non se lo può minimamente immaginare. Ma forse l'aveva rafforzata anche stando alla finestra di casa sua. Strano? Non esattamente. Zio Emilio, infatti, era capace di passare ore e ore in finistera ad osservare quello che succedeva nella stradina su cui si affacciava, Via San Marino. Per anni ha osservato il comportamento dei passanti in silenzio, o tutt'al più ricambiando un saluto o un accenno di intesa con qualcuno che conosceva. Il saluto dei pochi parenti che gli restavano, come anche le mie incursioni improvvise sotto casa, prima che se ne andasse. Questa pratica silenziosa, infatti, probabilmente era accompagnata da un attivo processo mentale di comprensione della vita altrui. E questa, come anche la capacità di prendere distanza, è una delle radici principali dell'ironia.
Mi ritrovo a pensarlo guardando l'orrenda struttura scolastica che si trova davanti casa mia, molto simile ad un ospedale, mentre il sole e l'aria fresca mi accarezzano il viso e la barba. "Stare in finestra non è poi così male, aveva ragione mio Zio", penso. Si vedono le cose "dall'alto", che è un esercizio che non si pratica più tanto comunemente. Si vedono i tuoi vicini per come sono, quelli che avevi scambiato per cavalli, ovvero gli ottusi che ti impediscono di dormire a causa degli zoccoli che portano ai piedi. Ma anche quelli che non hai mai visto, e scopri che vivono qualche piano più sù. Si vedono alberi in fiore, i vari colori del verde di piante e alberi, scritte sui muri, vari uccelli volare, tra cui anche un paio di aironi bianchi che in altre circostanze non avrei mai visto, gruppetti di parenti con o senza mascherina.
Ma, a differenza di mio Zio, dopo un pò che mi godo questo spettacolo mi viene in mente una domanda: ma davvero non si può nemmeno più passeggiare per strada? Ma davvero i parchi sono chiusi e si rischiano multe salate ad andare a passeggiare per strada? Ma perché hanno stanziato solo 3 miliardi di euro per la sanità e l'emergenza su 25 complessivi? Certo, tenere in casa la maggioranza della popolazione è a costo 0. Mentre fare una campagna di massa per i tamponi ha un costo elevato. Usare l'esercito e le strutture chiuse o in disuso, per costruire spazi ospedalieri esclusivi per gestire l'emergenza, ha altri costi importanti. Come anche garantire che non venga sospesa e monitorata la libertà di riunione e di manifestazione, ha un suo costo. Come la democrazia, in generale, ha un costo importante. Un costo che è "a perdere", ossia che non produce di ritorno nessun guadagno in termini monetari. Ma tanto, se non c'è un ritorno economico, non vale la pena rafforzare la nostra sanità o difendere la nostra democrazia, no?...così mi monta una sorta di indignazione davanti all'ennesima restrizione degli spazi di libertà che non ce la faccio a seguire l'esempio di mio Zio. "Se vedemo sor Emì, oggi n'è aria", penso riferendomi a lui mentre mi metto una giacchetta per uscire.
L'atto di "disobbedienza" n.2 che decido di consumare questa volta è quello di andare a vedere cosa accade negli spazi verdi del quartiere.
Mentre esco mi imbatto in una vicina di casa mai vista, una signora paffutella che mi saluta con due piccoli cani-topi al guinzaglio. Mi guarda tenendo le distanze, e poi ride. Chissà perché. Poi, una volta fuori, una risposta ce l'ho. Non c'è praticamente quasi nessuno che passeggia da solo. Quasi tutti hanno un cane al guinzaglio...
Schivando le cacche che minano tutte le stradine dissestate che portano ai cortili interni degli edifici vicino al mio, e che nessuno ha raccolto forse perché occupati dal comprendere come si mette la mascherina, arrivo a scoprire giardini interni incostuditi e lasciati allo sbando. Spazi mai visti. Bei posti, più o meno silenziosi, dato che sembra ormai accettata la regola che sotto la pandemia possiamo fare casino dalle nostre finestre. Arrivato in uno di questi giardini, come fosse un riflesso da carcerati, alcuni comunicano da un edificio all'altro con grida scomposte e reazioni patetiche che mi generano allo stesso tempo compassione, tenerezza e tristezza. "Come facciamo a non capire che qualcosa andava fatto per evitare di finire chiusi in casa?", mi domando retoricamente ed edulcorando il mio sentimento, visto che a quel "qualcosa" penso andrebbe sostituito con "tutto il possibile".
Arrivato al parco più grande che si trova nelle vicinanze comincio a sfidare la sorte. Ossia la polizia, che mi potrebbe fermare per arrestarmi. Mentre procedo sul prato verso una panchina che vedo in lontananza, sento che il coraggio che cresce in me è, in realtà, uno sberleffo sarcastico del mio inconscio. Più che "Rambo alla riconquista dello Spazio pubblico", mi sento "Gianburrasca che gioca al Corona Virus", e basta. Raggiunto l'obiettivo critico di potere leggere in uno spazio pubblico e all'aperto, mi metto di nuovo a fare come mio Zio Zen. Dalla panchina, tra l'altro, posso finalmente capire una cosa essenziale delle nuove misure di restrizione: se hai un cane puoi avere garantito il tuo diritto a non impazzire in casa. E che, in questo caso, è ancora più vero il detto che "il cane è il migliore amico dell'uomo". Vedo moltissime persone che girano con cani di tutti i tipi. C'è anche un signore che porta a spasso un cane con tre zampe. Ce n'è un altro che cammina nervoso guardandosi intorno oltre la sua grande mascherina nera che gli copre l'intero viso. Cammina nervoso, molto nervoso, su e giù la stradina che passa davanti alla panchina dove sto seduto, forse perché è uno di quelli che ha bisogno di uscire, che non ce la fa a stare recluso in casa. Qualcuno con qualche grave problema psicologico. E, anche solo a guardare certi politici dell'opposizione parlamentare, temo che in Italia non sia il solo caso, anzi. C'è chi si nasconde dietro un gruppo di alberi, perché non sta facendo jogging, ma dei trasgressivissimi esercizi per le gambe...saltando su e giù....non ho mai visto questo tipo di ginnastica, ma sono sicuro che non è prevista nelle misure a protezione dal Virus regale....poi vedo un gruppo di trasgressori ancora più sfacciati. In lontananza passeggiano tre ragazzi, probabilmente tre amici, che non hanno nessun cane!! Per recuperare hanno deciso di tenere la distanza di 5 metri l'uno dall'altro. Hai visto mai che ciò riesca a impietosire il possibile poliziotto ligio al rispetto letterale delle misure della legge?
Tornando a casa, prima di lasciare l'enorme prato su cui mi sono fermato a leggere per qualche ora, scorgo la carcassa di una bicicletta pubblica, di quelle che si affittano. Si trova vicino a dei copertoni e a una marmitta. Una composizione di arte contemporanea o di pubblica maleducazione che non avrebbe mai richiamato la mia attenzione se non fosse che su una parte della bicicletta c'è scritto GOOGLE PLAY...Possibile che l'economia high tech legata all'informatica sia ormai così potente? E chi ci sta guadagnando in questa situazione di pandemia, se non i colossi che commerciano sul web (oltre al comparto legato alla salute)? Di quanto è aumentato questo tipo di economia? Sappiamo chi ci sta rimettendo con questa Pandemia, ma chi ci guadagna?
Tornando a casa, nel cortile interno del mio palazzo, c'è qualcuno che ascolta canzoni leggere che parlano di libertà. Mi ritorna in mente quanto Silvano Agosti dice del discorso dello schiavo: https://www.youtube.com/watch?v=2DGjkpkL8nw . Spero davvero che la nostra condizione di reclusi sia vissuta come l'anticamera di un rifiuto, quello di tornare a vivere come prima. Non perché più accondiscendenti, ma perché meno disponbili a farlo. La nostra schiavitù e la nostra libertà potrebbero essere rimesse in discussione. Ma se non ci accorgiamo che anche prima della Pandemia non vivevamo lo spazio pubblico in modo libero e politico, e che nessuno lo farà una volta finita, se non cominciamo a porci subito il problema della restrizione delle nostre libertà civili e democratiche, beh, allora tutta sta libertà di cui si sente parlare nelle canzoni dai balconi e dalle finistre, non è altro che il fantasma di qualcosa che ci ossessiona perché non ce l'abbiamo più e non siamo disposti a rischiare per riaverla indietro.
Un fantasma che si aggira per le case, e che non è mio Zio Emilio.

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