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Mentre Gaza si trasforma in una grande fossa comune, e il mondo osserva sugli schermi di tv e computers un vero e proprio sterminio di massa, un genocidio mascherato da operazione militare che è stato cinicamente accompagnato dall'obiettivo di eliminare completamente i terroristi di Hamas, generando un'assonanza micidiale con la ben più nota "soluzione finale", in Ucraina continuano a morire civili sotto i bombardamenti dell'esercito russo con la scusa di de-nazificare il territorio. In entrambi i casi a morire sono altri, non chi la guerra l'ha voluta e la vuole, per arricchirsi o garantirsi del potere politico. Gli innocenti. I civili. Uomini, donne e bambini che non hanno voluto e non vogliono questo orrore continuano a cadere, come in un brutto film di guerra. Peccato che non si tratta di un film, ma del disco rotto di un sistema sociale e politico che impedisce di abolire la guerra e gli strumenti che la generano e la sostengono, con il sostegno di chi la ritiene ancora, contro ogni evidenza, un mezzo adeguato per fare giustizia. Ma sia in Ucraina sia in Palestina, si tratta invece di vendetta e di dominio.
In entrambi i casi le soluzioni vere dovrebbero passare per un cessate il fuoco che accompagni un processo di pace, e poi un lungo percorso che porti alla scomposizione e alla ricomposizone delle identità in gioco. La Palestina, per quanto sarebbe già molto se venisse riconosciuta da Israele, non assicura nessun futuro ai suoi cittadini, soprattutto se ridotta a riserva controllata dallo Stato di Israele, come è ormai di fatto. Quest'ultimo, sebbene nato dopo il disastro dell'Olocausto e sulla lunga scia di quell'orrore, non è uno Stato democratico ma uno Stato religioso e militarizzato che soffre della stessa paranoia sociale e del senso di onnipotenza di chi ha sostenuto il Terzo Reich, e la sua esistenza è una mina perpetua per tutti, dentro e fuori i confini, e per questo non garantirà mai la sicurezza degli abitanti che vi ci abitano. Come anche per l'Ucraina, dove una soluzione potrà venire solo se alcune regioni dell'Ucraina verranno co-gestite con la Russia, e quest'ultima si deciderà a risarcire in qualche modo dei danni fatti e delle sofferenze provocate (se questo fosse anche solo minimamente possibile), anche per la Palestina e Israele bisognerebbe pensare ad una soluzione che prenda in contropiede lo Status quo, la normalità violenta con cui il conflitto è diventato endemico nel corso dei decenni. Il che significa che si dovrebbe cominciare a parlare e poi a dare vita ad un altro Paese, dove l'apartheid e il terrore possano finalmente sparire, e tutte le persone, di qualsiasi credo o cultura, possano convivere insieme. Insieme i palestinesi e gli israeliani, magari anche insieme a gli altri popoli vicini. Sicuramente a qualcuno quest'idea genererà diffidenza, scetticismo, perfino rabbia. Eppure, se vogliamo la pace bisogna che chi si è combattutto sino a ieri possa, insieme, costruire una nuova realtà comune, al di là dell'odio profondo, del disprezzo, della paura, e dell'interesse a lucrare sulla violenza di quei pochi sciacalli senza scrupoli che sono i primi, veri ladri di vite umane, pur non abbracciando mai un fucile. Si deve far crescere non solo una cultura di pace ma anche degli interessi comuni di tutti i tipi, per fare e sviluppare la pace.
Questo breve ragionamento è frutto dello stesso spirito con cui è stato realizzato il libro "Una pace senza armi", un messaggio corale di autorevoli voci che sanno bene cosa sia la guerra. Il libro verrà presentato per la seconda volta a Messina e ONLINE. All'Università e su Teams, giovedì 11 alle 15:30. Tutte le informazioni le trovate sulla locandina. Vi aspetto numerosi per poter continuare a pensare cosa si puo' fare davvero per mettere fine alla follia istituzionalizzata che ogni guerra rappresenta. E ragionare, senza nessuna banalizzazione o semplificazione, su cosa ognuno di noi puo' fare per invertire la rotta. Quella di un Titanic che ha già colpito l'iceberg della terza guerra mondiale, e che farebbe bene a capire come salvarsi. Quanto sta accadendo in Corea e in Iran dovrebbe essere sufficiente per darsi una mossa.

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